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Omelia del Vescovo Oscar - III domenica di Quaresima - 15 marzo 2020

Cari amici, fratelli e sorelle nel  Signore, che siete collegati da ogni parte della nostra Chiesa per seguire insieme questa Eucaristia.

Ci rendiamo conto tutti della bellezza e della preziosità di questo momento liturgico, che ci dona tanta consolazione e ravviva in noi la certezza della speranza, proprio in questi giorni di isolamento, di sofferenza e di paura.

Comprendiamo che la fede è un dono divino che in questo tempo ci unisce ancora di più con il Signore Gesù, pane di vita e fonte d’acqua viva, ma anche ci rafforza tra di noi, formando un unico sentire.

Constatiamo, infatti, come la lontananza non ci separa, la distanza spaziale piuttosto ci avvicina. Nemmeno il “coronavirus” riesce a spezzare e vincere i vincoli della nostra comunione fraterna, anzi, con la forza del pane di vita, siamo stimolati nel sentirci tutti responsabili del bene comune, perché formiamo un solo corpo in Lui.

Stiamo celebrando l’Eucaristia, nella terza domenica di Quaresima, nella basilica di S.Abbondio in Como, un luogo tanto venerato e caro a tutti i Comaschi, consacrata dal papa Urbano II nel 1095.                       Sotto l’altare maggiore sono raccolte le reliquie di s.Abbondio, quarto vescovo di Como, patrono della città e della diocesi.

Assieme a Lui, questa basilica custodisce le spoglie mortali di molti altri nostri vescovi, che dal cielo oggi intercedono per noi e ci affidano  al Signore Dio, che guida con amore la storia umana e così realizza il suo piano di salvezza e di pace, nonostante la desolazione di questo tempo e gli sconvolgimenti naturali.

Mi piace ricordare, a questo punto, la creatività e la fantasia di molti nostri sacerdoti e laici che, impossibilitate a vivere incontri comunitari in parrocchia, offrono ai fedeli la possibilità di assistere, via straming, a varie celebrazioni dalle loro chiese, oppure offrono sussidi di preghiera da usare in famiglia, o inviano ai ragazzi video adatti per vivere la Quaresima o per la preparazione ai sacramenti della iniziazione cristiana, e ai giovani segnalano come utilizzare positivamente e con frutto questo tempo di sosta forzata.

Sono piccoli contributi, che però riflettono un sincero desiderio di stare vicino alle persone, di condividere la loro solitudine, di trasmettere speranza, di aiutarle nella loro ricerca, perché tutti si sentano al centro delle attenzioni e delle premure materne della Chiesa.

Esprimo a nome di tutti ammirazione e gratitudine a quanti si prodigano con tutte le loro forze a servizio dei malati, in famiglia e nei nostri ospedali. Vorrei invitare i medici e gli infermieri che credono nel Signore, oltre all’ammirevole cura terapeutica, ad essere per i loro pazienti anche ministri di consolazione.

In virtù del vostro sacerdozio battesimale affidateli al Signore e tracciate sulla loro fronte una piccola croce, a nome dell’intera nostra Chiesa. E’ un impegno che estende un già logorante calendario, ma è un segno di misericordia, che i nostri malati gradiranno, dato che non a tutti i sacerdoti è dato di poterli raggiungere.

La forzata assenza alla Eucaristia domenicale deve aiutarci a riconsiderare la s.Messa come un dono di Dio e riflettere sulla grande fortuna che a noi è concessa di poterla celebrare almeno ogni domenica, opportunità che non tutti, nel mondo, possono godere in modo stabile.

Penso in modo speciale ai territori di missione, dove il sacerdote visita le diverse Comunità di tanto in tanto e solo allora viene celebrata la l’Eucaristia.

Penso anche ai trentotto paesi nel mondo in cui la Chiesa continua a soffrire oggi persecuzione. Sono trecento milioni i cristiani che quotidianamente sono esposti all’oppressione derivata dalla loro fede cristiana. Tra essi troviamo esempi di grande valore, come in Egitto, dove la comunità cristiana, duramente perseguitata, persevera nella fede. O in Pakistan, dove i cristiani non smettono di alzare la voce perché i loro diritti non vengano calpestati.

Si tratta di comunità cristiane piene di energie, con una fede forte ed esemplare, sottoposte continuamente a dure prove. Non possono godere, come noi della s.Messa domenicale assicurata, eppure essi ci valutano come dei cristiani rassegnati, che non sappiamo utilizzare a fondo la gioia pasquale, frutto delle nostre Eucaristie, come forza travolgente per inondare il nostro ambiente di quella vitalità che deriva proprio dalla morte e risurrezione del  Signore, di cui la s.Messa è memoriale.

Impariamo da questi nostri fratelli e sorelle a considerare l’Eucaristia riconoscendola come il nostro tesoro più grande.

E ora ci domandiamo: come le letture della parola di Dio di oggi possono sostenerci nella situazione drammatica che stiamo vivendo? Quali insegnamenti ne derivano se leggiamo attentamente, alla luce dello Spirito Santo, i testi biblici che oggi la liturgia ci propone?

Se accostiamo la prima lettura a quella del Vangelo, emerge il tema di fondo su cui oggi confrontarci: ossia la certezza consolante che Dio interviene sempre per saziare la sete del suo popolo.

Con il libro dell’Esodo [nella prima lettura] ci viene descritta la grande esperienza che Dio fa compiere agli Ebrei, in fuga dall’Egitto, che proprio nel deserto diventano da massa indistinta popolo di Dio.

Guidati da Mosè, gli Ebrei devono affrontare, non senza difficoltà e tensioni, l’arido deserto. Ma è proprio lì che assistiamo, con la lettura di oggi, a uno dei momenti più incresciosi: uno scoraggiamento di massa, che si trasforma in una drammatica ribellione, che mette a dura prova il mite Mosè, servo e amico del Signore.

Non c’è acqua e il popolo se la prende subito con lui. Lo accusa di averlo imprudentemente condotto nel deserto, che rischia di diventare la loro tomba. E subito il popolo lascia emergere una grande, terribile domanda, che rivela la debolezza della fede: “Il Signore è in mezzo a noi, sì o no?” 

Non è forse una domanda ricorrente anche dentro di noi, in questo tempo di sacrificio, di incertezza e di sofferenza? La tentazione di crederci abbandonati da Dio forse è più ricorrente ora che in altri tempi, quando qualcuno ha creduto di poter fare a meno di Lui e vivere come se Dio non esistesse.

Questo è per noi un tempo di prova, che ci permette, però, di ravvivare la nostra fede e di affidarci a Dio con tutte le nostre forze.

Credere non è solo aderire a delle verità, ma innanzitutto proclamare con forza che Dio è con noi, ci accompagna con cuore di padre anche dentro questa situazione, ci consola in questo tempo di smarrimento, piange con noi, perché Lui stesso è ferito e ci stimola a sentirci ancora di più sua famiglia, in cui sviluppare fraternità, accoglienza dei più deboli, aiuto fraterno e solidarietà.

La fede in Dio ci insegna in questo tempo a sentirci responsabili gli degli altri. Se vogliamo uscire da questa crisi dobbiamo sentirci una cosa sola tra di noi, responsabili dei nostri fratelli e sorelle, perchè tutti amati da Dio, preziosi al suo cuore di padre. La nostra è dunque sete di guarigione, non solo dal corona virus, ma dai nostri egoismi, dalla pretesa di uscirne da soli, senza prenderci cura degli altri.

Dio viene in aiuto alle nostre seti donandoci l’acqua viva dello Spirito.

Ha sete anche la donna samaritana, che Gesù incontra al pozzo di Giacobbe, come ci narra il Vangelo di Giovanni. Ha sete di acqua naturale, ma molto di più questa donna ha sete di amore, di relazioni stabili e autentiche, ha sete di comunione e di fiducia interpersonale.

Ella ha cercato di dissetarsi a tutte le acque che le si presentavano a prima vista, ma nessuna di queste acque era mai riuscita a placare la sua sete. Glielo ricorda Gesù, in un dialogo faccia a faccia: ”Hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito, in questo hai detto il vero”. Una evidenza, questa, che non suona come un rimprovero, ma solo una semplice constatazione, che permette alla donna di rivolgersi con fiducia a Colui che è in grado di estinguere la sete del cuore, attraverso un’acqua viva, profonda e vera, il dono dello Spirito.

Le acque battesimali inondano anche noi dello Spirito Santo, anche noi assetati di amore, di bontà, di verità, di bellezza: esse ci permettono di partecipare alla vita divina del Figlio di Dio, nell’ottica quindi dell’amore e del dono di noi stessi. La misura della autenticità della nostra vita cristiana è proprio la vita vissuta come dono, frutto di quella vita nuova, di cui il Battesimo ci ha fatti partecipi.

Misuriamo la nostra capacità di dono proprio in questo tempo difficile. Anche se siamo rinchiusi nelle nostre case …non possiamo vivere da isolati. Solo se continueremo a sentirci uniti, potremo uscire da questa emergenza!

+ Oscar, Vescovo

dal sito: www.diocesidicomo.it