Omelia di Mons. Italo Mazzoni, Vicario Episcopale - S. Messa nel terzo anniversario del Santuario - 27 novembre 2013

Appunti per l’omelia di don Italo Mazzoni

A distanza di tre anni dall’attribuzione della qualifica di Santuario alla chiesa di Maccio, mi rendo conto di una significativa coincidenza che merita di essere approfondita: la nascita in contemporanea del Santuario a Maccio e della Missione in Perù.

In quei giorni, nel 2010, con altri due responsabili diocesani e i primi missionari fidei donum della diocesi mi trovavo in Perù, per scegliere con il Vescovo Lino, vescovo della diocesi di Carabayllo in Lima, la zona in cui far fiorire la nuova missione fidei donum della Diocesi di Como.

Nel frattempo, qui, in questa chiesa, il nostro Vescovo Diego intitolava il Santuario alla Santissima Trinità Misericordia, nominava il rettore e invitava fedeli, sacerdoti, laici e consacrati alla preghiera e alla fede.

Il Signore ci mostrava, nel segno delle coincidenze umane, il profondo legame tra la preghiera e la missione. E ci mostrava il contenuto della preghiera e della missione, che è il medesimo: l’incontro con la Misericordia di Dio. Nella preghiera la invochiamo, la riceviamo, la gustiamo e l’abbracciamo. Nella Missione la Chiesa si fa segno fisico della Misericordia di Dio che cerca l’uomo, ogni uomo, nelle più lontane periferie geografiche, ma anche umane ed esistenziali, come ci sta insegnando Papa Francesco: sono “le periferie del mistero del peccato, del dolore, dell’ingiustizia, dell’ignoranza e dell’indifferenza religiosa, quelle del pensiero, quelle di ogni forma di miseria” (J. M. Bergoglio, 7 marzo 2013).

Diventa sempre più importante discernere i segni dell’avvicinarsi di Dio a noi. La prima lettura ci presenta un re, Baldassàr, come un uomo superficiale che fa portare per il banchetto i vasi d’oro e d’argento che suo padre Nabucodonosor aveva asportato dal tempio di Gerusalemme. Aveva intenzioni sacrileghe? Forse no, ma certo voleva mostrare la sua ricchezza, dimenticando che quei vasi erano segno di qualcosa di più grande. Riflettiamo: c’è un vaso, d’oro o di argento, un contenitore di metallo nobile o informatico che sia più prezioso di un uomo, la creatura che contiene l’immagine di Dio? No: l’uomo è l’unico vaso veramente sacro per Dio. Quante volte, invece, l’uomo è usato dimenticando la sua dignità. L’uomo è il tempio di Dio, l’uomo non può e non deve essere usato, calpestato, violentato, ignorato, deriso, alienato, venduto, scacciato o non accolto.

Il Santuario oggi è un segno di qualcosa e di qualcuno.

Il qualcosa è l’esperienza spirituale forte, profonda, mistica, sofferta che qui è iniziata e qui ancora continua nella vita di un uomo.

Il qualcuno è Gesù che ci attira alla sua mensa, al suo pane di vita, al suo calice di amore gratuito, al suo costato aperto dal quale esce sangue ed acqua.

Il qualcosa sono i segni della vita di Dio ai quali siamo richiamati, quelli per cui c’è bisogno di una catechesi: la croce, l’acqua sulla pietra dell’altare che baciamo con amore, le preghiere che ci sono state consegnate, gli scritti, i consigli spirituali che tanti hanno ricevuto, pur essendo sconosciuti a chi li pronunciava.

Il qualcuno sono i tanti pellegrini, in un movimento silenzioso e implorante, che qui cercano fede e serenità. Lasciatemi pronunciare questa parola, così in sintonia col cielo: serenità. Ne abbiamo bisogno nelle prove della vita, nelle responsabilità, nell’educazione, nella politica, nei rapporti umani.

Il qualcosa è il livello alto di competenza ecclesiale a cui sono stati consegnati gli scritti e le prime indagini ecclesiali: la Congregazione per la dottrina della Fede, l’organismo che sta studiando anche le apparizioni di Medjugorje. La Congregazione si riserva tempo, chiede assoluta riservatezza, attende la conclusione delle possibili rivelazioni private per poter esprimere il suo giudizio. Nel frattempo ci invita alla preghiera, allo studio dei testi, alla raccolta delle testimonianze, all’umiltà.

Il Santuario oggi è segno di qualcosa e di qualcuno.

Il qualcuno è la Trinità, mistero principale della fede cristiana. La nostra fede in Gesù è fede nel Dio Trino ed Uno.

Dal sapere che esiste la Trinità, occorre passare al vivere della Trinità, per godere la gioia della Misericordia che da Dio rifluisce in ogni istante su tutti noi, sue creature.

Che cosa ci aiuta a ricordarci di Dio e a comunicare Dio nel nostro tempo? Occorrono parole semplici e gesti concreti, che ci facciano sentire intenzioni e sentimenti di Dio, che ha voglia di dirci così: Io, amore, carità e misericordia mi rivelo e mi dono a te. A te uomo, a te donna, a te bambino o bambina. A te dove sei e come sei, anche immerso nel più oscuro dei peccati. Ti attiro e faccio nuovo tutto di te, in Gesù, uomo come te, ma uno in Me Trinità misericordia. Per il nostro dono, sempre presente nell’Eucaristia, io, Santissima Trinità Misericordia, mi dono a te e ti riporto a me. Anche se tu sei lontano da me, io ti cerco e, custodendo la tua libertà, ti riporto a me. Questa è la misericordia: non smetter mai di cercarti. Questo è l’amore: non dimenticarmi di te neppure per un istante. Questa è la carità e la mia intensa gioia: trovarti e abbracciarti.

Così se qualcuno dovesse chiedermi a che cosa serve il Santuario di Maccio, in mezzo a tanti santuari che già c’erano, mi sento di rispondere: il Santuario di Maccio è un nuovo abbraccio di Dio. L’amore ha tanti gesti: qui Dio, Trinità misericordia, ci abbraccia!

Ieri Papa Francesco ha consegnato alla Chiesa un documento, l’Esortazione apostolica “Evangelii gaudium”. Ecco che cosa ci dice della vita cristiana: “L’identi­tà cristiana, che è quell’abbraccio battesimale che ci ha dato da piccoli il Padre, ci fa anelare, come figli prodighi – e prediletti in Maria –, all’altro abbraccio, quello del Padre misericordioso che ci attende nella gloria. Far sì che il nostro popolo si senta come in mezzo tra questi due abbracci, è il compito difficile ma bello di chi predica il Vangelo” (EG, 144).

E della Misericordia, di cui parla una trentina di volte, dice:

“Invito ogni cristiano, in qualsiasi luogo e si­tuazione si trovi, a rinnovare oggi stesso il suo incontro personale con Gesù Cristo o, almeno, a prendere la decisione di lasciarsi incontrare da Lui, di cercarlo ogni giorno senza sosta. Non c’è motivo per cui qualcuno possa pensare che que­sto invito non è per lui, perché «nessuno è esclu­so dalla gioia portata dal Signore». Chi rischia, il Signore non lo delude, e quando qualcuno fa un piccolo passo verso Gesù, scopre che Lui già aspettava il suo arrivo a braccia aperte…

Ci fa tanto bene tornare a Lui quando ci siamo per­duti! Insisto ancora una volta: Dio non si stanca mai di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere la sua misericordia. Colui che ci ha invi­tato a perdonare «settanta volte sette» (Mt 18,22) ci dà l’esempio: Egli perdona settanta volte sette. Torna a caricarci sulle sue spalle una volta dopo l’altra. Nessuno potrà toglierci la dignità che ci conferisce questo amore infinito e incrollabile. Egli ci permette di alzare la testa e ricominciare, con una tenerezza che mai ci delude e che sem­pre può restituirci la gioia. Non fuggiamo dalla risurrezione di Gesù, non diamoci mai per vinti, accada quel che accada. Nulla possa più della sua vita che ci spinge in avanti!” (EG, 3).

Allora “Amore” lo scriveremo con la A maiuscola di Abbraccio e Missione con la M maiuscola di Misericordia.

Ora possiamo tranquillamente metterci le mani tra i capelli, non per disperazione, ma per fede: “Nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto”. Gesù ci indica un particolare quasi insignificante del nostro corpo per dirci tutta la sua attenzione: non l’occhio, o il piede, la mano o il cuore. Un semplice pelo sulla nostra testa: un capello. Tra questi capelli ci sono quelli che cadono per l’avanzare degli anni, i capelli strappati dalla violenza sulle donne, i capelli caduti a motivo della chemioterapia, i capelli che si staccano dalla cute dei defunti. Ma anche semplicemente quelli che restano sulla nostra spazzola al mattino.

C’è nel Vangelo un’apparente e inquietante contraddizione: ci vengono indicate le possibili persecuzioni, preannunciati i tradimenti perfino dei nostri cari e ci viene promessa tutta l’attenzione di Dio anche solo ad uno dei nostri capelli. Che cosa significa? Si tratta di una bella promessa che si compie nella perseveranza: nulla ci impedirà di costruire la nostra vita sull’amore. Anzi: perfino le difficoltà diventeranno un’occasione grande come è stata la croce per Gesù.

E continueremo, in ogni occasione della vita, a scrivere “Amore” con la A maiuscola di Abbraccio e Missione con la M maiuscola di Misericordia.

Santuario di Maccio, sei un dono di Dio! Santuario della Santissima Trinità Misericordia, buon compleanno!




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